LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE SE TI DAI UNA MOSSA"

creata il 25 giugno 2011 aggiornata il 26 settembre 2011

 

 

Considerazioni inattuali sul movimento psicanalitico

Sono oggi da compatire (sic) i tre padri fondatori della psicanalisi. Litigavano perché erano uguali e ragionavano allo stesso modo. Cercavano tutti e tre lo stesso Eldorado: la causa dei fenomeni psichici. Per Freud era il sesso, per Adler la volontà di (im)potenza, per Jung tautologicamente l’energia psichica. Da dimenticare tutti e tre in quanto tutti e tre prescientifici. (Non a caso erano tutti e tre medici.) La psicanalisi si salvò per il rotto della cuffia, addirittura contro la volontà dei suddetti padri fondatori, perché l’intuizione freudiana dell’inconscio come luogo del soggetto della scienza fu un’intuizione veramente scientifica, che non poteva essere travolta dalle ideologie paterne. Curiosamente in psicanalisi, forse perché è una pratica di aggiramento delle resistenze, si registra più chiaramente che altrove il fenomeno della resistenza alla scienza degli stessi uomini di scienza. L'ultimo Lacan lo diceva in termini più crudi di me: “L'analista ha orrore del proprio atto”. Se ci fate caso, potrete notare che gli psicanalisti parlano della scienza – la cosiddetta tecnoscienza – con la stessa sufficienza con cui gli psichiatri di fine Ottocento parlavano di isteria come pratica femminile di simulazione. E dire che l'isteria ha dato origine alla psicanalisi.

Di seguito voglio tratteggiare alcune connessioni tra le dottrine psicanalitiche e la politica della psicanalisi che le istituzioni, fondate su quelle dottrine, promuovono.
Inevitabilmente le dottrine della causa generano a livello politico delle divisioni insanabili tra “scuole di pensiero”, perché quello di causa non è un pensiero “autentico”. La causa è un pensiero apparente, come afferma Nietzsche nell’aforisma 360 della Gaia scienza (1882). La causa è uno pseudopensiero, perché confonde verità di fatto con verità di principio, come stabilisce Hume nella sua Ricerca sull’intelletto umano (1748). La causa è un pensiero falsamente acquietante, che dà una risposta immaginaria a domande inquietanti:

“Perché succede qualcosa e non niente?”. “Per questo e per quest'altro”.

In realtà, non importa cosa; purché sia una cosa, Sache, quasi tutto assolve ugualmente bene alla funzione di causa, Ursache. I criteri eziologici sono molto permissivi; sono, infatti, concepiti per difendere aprioristicamente – in via trascendentale, direbbe Kant – la “scientificità” del determinismo, spacciandolo per meccanicismo. In effetti, difendono i diritti della diacronia sulla sincronia, imponendo la prevalenza della dimensione narrativa della verità (del cosiddetto caso clinico) sulla dimensione argomentativa.

La conseguenza pratica del quiproquo – la falsa risposta a una domanda vera – è che ogni scuola resta chiusa in se stessa intorno alla propria “causa” – che diventa subito la “cosa” politica, la Ur-sache o cosa primitiva dei tedeschi, per cui la scuola si contrappone a tutte le altre scuole. Perché? perché la causa è per definizione “quella”, e solo quella, e non si può confondere con altre. “Non avrai altra causa all'infuori della mia”: lo stabilisce il tribunale kantiano della ragione, fondato sul principio eziologico, il millenario principio di ragion sufficiente. Poiché non si stabilisce nessuna dialettica tra cause a livello teorico (come tra religioni a livello teologico), di conseguenza non si instaura nessuna collaborazione – neppure federativa – a livello politico tra scuole di psicanalisi. Ideologie diverse fondano partiti politici che non possono formare una coalizione di governo.

Cambiano le cose  nel panorama della politica della psicanalisi con i figli di quei padri fondatori? Con le Klein, con i Bion, con i Lacan?

In pratica non cambia niente, perché non cambia molto in teoria. Anche gli autori citati, pur non enfatizzando la nozione di causa, conservano nelle loro costruzioni dottrinarie un tratto formale delle dottrine eziologiche, proprio quel tratto che differenzia una dottrina dogmatica da una teoria scientifica. Le dottrine della Klein, di Bion, di Lacan sono dispositivi teorici concepiti come gli unici possibili e gli unici veri. Anche qui nessuna dialettica a livello teorico, quindi nessuna collaborazione a livello politico, ma separazione e contrapposizione degli organismi sociali che le incarnano.

Come se ne esce?

La mia idea, che mutuo da Lacan, è di ritornare a Freud. Ma con una precisazione che Lacan non fece. Si tratta di tornare a Freud scavalcando e cancellando i suoi freudismi. Si tratta di tornare all’intuizione scientifica di Freud – fondamentalmente all’intuizione epistemica di un sapere che non si sa di sapere – scavalcando e superando il pensiero eziologico freudiano, principalmente quello che si esprime nella metapsicologia dei traumi e delle pulsioni. Insomma, propongo di passare da una psicanalisi medica, fondata sul principio di ragion sufficiente, a una psicanalisi scientifica, fondata su verità congetturali, da elaborare confermandole e confutandole.

L’operazione, che propongo, concettualmente semplice, è in pratica difficile, anzi difficilissima.

Perché?

Perché si tratta di superare la mentalità eziologica, che è blindata nel senso comune da due discorsi molto potenti – due varianti del discorso del padrone, si direbbe in termini lacaniani – a cui sono destinate quote imponenti del bilancio della nazione: il discorso giuridico e il discorso medico.

Lo dico in riferimento a una mia esperienza recente. Se contesto a Freud la sua Questione dell’analisi laica, perché è un discorso che Freud fa contro i medici (anche con accenti paranoici), mentre dovrebbe andare contro il discorso medico, che Freud considera erroneamente scientifico, rischio di non trovare ascolto. Mi si dice che perseguo una linea di pensiero politicamente poco conveniente. Infatti, va contro la mentalità comune e rischia di non trovare consensi. Va bene, con prudenza, porsi contro la lobby medica; non va bene porsi contro la medicina, perché si rischia di azzerare la dimensione psicoterapeutica della psicanalisi, a cui per ragioni professionali gli psicanalisti non se la sentono di rinunciare. Infatti, quando nel 1989 uscì la famigerata legge Ossicini, tutti gli psicanalisti italiani ortodossi, andarono a iscriversi in massa all’albo degli psicoterapeuti, senza che nessuno, tanto meno Ossicini, li obbligasse.
La psicoterapia – non la scienza – unifica di fatto scuole di psicanalisi divise per principio e contrapposte tra di loro come la freudiana e la lacaniana (le lacaniane). Lo Stato unifica per i propri fini di controllo sociale, quel che la dottrina divide. Questo è l’ultimo, forse inatteso ma non certo paradossale, risultato della politica dottrinaria, inaugurata da Freud e perseguita dai suoi epigoni sul mercato della psicanalisi.

Ma a dirlo, rischi di passare per antifreudiano, addirittura per non analista. Come dire: miseria del movimento psicanalitico, che non è mai diventato un movimento scientifico. Ma se la psicanalisi non diventa pratica scientifica – dico, genericamente, una pratica epistemica, fondata su certe intuizioni estetiche – non potrà mai esercitare una politica autonoma; resterà per sempre al servizio del padrone; la sua "causa" sarà per sempre la causa del potere costituito, a cui si inchina come ogni servo conformista. L'autonomia della psicanalisi, aureo libretto scritto dal mio amico Cesare Viviani nel 2008 per i tipi di Costa e Nolan, resterà per sempre nel libro dei sogni alla pagina: il sogno di una psicanalisi che non sia medicina.

La difficoltà di dissociare la psicanalisi dalla psicoterapia, in generale dalla medicina, ha una profonda ragione storica: lo statuto mitologico della guarigione. La malattia è inviata all'uomo dagli dei, che personificano il destino. I guaritori sono rappresentanti degli dei, nelle vesti di preti (camice nero), stregoni (camice bianco), sciamani, che interpretano la volontà della divinità e liberano dal male. Nei millenni la guarigione è stata oggetto di pratiche rituali, più o meno magiche, basate su miti incontrovertibili. L’autorità della medicina deriva dalla magia (il principio eziologico è un derivato magico, second Mauss); l’autorità della psicoterapia deriva dalla mitologia, sia che si adotti il mito edipico freudiano o uno degli innumerevoli miti junghiani; ma né medicina né psicoterpia bazzicano il territorio scientifico, aperto al pubblico solo da poco; al più la medicina sfrutta della scienza qualche ritrovato tecnologico; la psicoterapia ne disprezza la metafisica quantitativa, meccanicistica e puramente oggettiva. Fare un discorso razionale di psicanalisi scientifica va pertanto contro il gewachsener Fels – la "roccia consolidata", come la chiama Freud alla fine della sua Analisi finita e infinita – della mitologia e dei pregiudizi, che fondano la convivenza civile. Non restano, allora, molte speranze di salvare la psicanalisi dal degrado mitologico a cui l'hanno ridotta i gestori della guarigione, riconosciuti dallo Stato: guaritori di vario genere, maghi della psicoterapia, naturopati e guru variamente colorati. Degrado che ultimamente si manifesta nell’imposizione alla terapia della dimensione magico-religiosa, nel senso che la guarigione è intesa nel doppio registro sia medico, della restituzione allo stato originario, sia religioso della salvezza dal peccato o liberazione dal male. La sintesi magica dei due registri medico e religioso erige intorno alla nozione di guarigione una barriera impenetrabile sia alla critica scientifica sia all'azione politica. Dopo vent'anni di analisi, racconta Woody Allen, non resta che andare a Lourdes.

Il problema va considerato nella sua complessità teorico-pratica.

Dal punto di vista teorico c'è una realtà socioculturale diffusa e consistente da considerare. Il discorso magico, inteso alla Lacan come discorso della causa efficiente (cfr. J. Lacan, La science et la vérité (1965), in Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 871), occupa una posizione preminente nell'attrezzatura culturale corrente, tanto da fondare addirittura il successo della tecnologia moderna, che solo esteriormente è scientifica, essendo la cosiddetta tecnoscienza da sempre magia. La magia, prima che nella pratica di alcuni ciarlatani, è nella testa di tutti. Tutti noi crediamo che da qualche parte esista la bacchetta magica – la causa controefficiente – che ci liberi dai malanni della vita. Questa imperitura credenza è alla base dell'effetto placebo di tutti i farmaci. In base a questa credenza si pretende non solo la "convalescenza" (Genesung) ma addirittura la "guarigione" (Heilung) da ogni malattia. Allora, il discorso capitalista è pronto a sfruttare questo pregiudizio (nonché autoinganno) ed escogita farmaci per tutte le evenienze con superprofitti da capogiro. Il politico non può non tenere conto di questa realtà immaginaria (sic) e investe metà del PIL in spese sanitarie, giusto per mantenere buono il proprio elettorato.

Qual è la conseguenza per lo psicanalista? Il primo psicanalista che mise sul mercato la psicanalisi come psicoterapia fu da subito invischiato nella trappola mitologica della guarigione, non avendo purtroppo né gli strumenti intellettuali per riconoscerla né gli strumenti pratici per disinnescarla. Invano l'ultimo Freud cercò di sottrarre la psicanalisi alla cattura dei medici. Ormai il gioco era fatto: la psicanalisi era stata catturata dalla medicina, quindi dalla magia, prima che dai medici. La battaglia di Freud contro i medici a favore dei non medici, che esercitavano la psicanalisi, condotta nello scritto La questione dell'analisi laica, aveva un falso bersaglio. Ormai la medicina, quindi la magia, si era insediata al cuore della psicanalisi stessa, nella metapsicologia freudiana, che è un formulazione dottrinaria pesantemente connotata in senso medico, precisamente in senso eziopatogenetico con le pulsioni come cause psichiche. Come poteva Freud combattere i medici-stregoni (Kurpfuscher o ciarlatani, li chiama Freud), se proprio a casa sua si era installata la strega metapsicologia? (Cfr. S. Freud, L'analisi finita e infinita (1937), in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. XVI, Fischer, Frankfurt a.M. 1999, p. 69). Non se la sono cavata meglio gli epigoni di Freud. La psicanalisi italiana, volendo darsi una regolamentazione di legge, si è trovata regolamentata come psicoterapia.

Non se ne esce?

Se ne esce, secondo me, con un paziente, umile e instancabile lavoro teorico e politico di rescissione degli innumerevoli, sottili e resistenti fili che tengono la psicanalisi legata al discorso del padrone attraverso le varianti del discorso medico e giuridico. Discorso medico e discorso giuridico vanno di pari passo. Sono i servitorelli del padrone; uno dice le cose come stanno (è l'ontologia, bellezza!); l'altro sanziona le cose che non vanno secondo natura (è sempre l'ontologia, bellezza!). Per questo, non credo che i vari discorsi nostalgici, che da varie parti si levano a difesa della psicanalisi, andranno molto lontano. Quando non sono rimostranze di una piccola lobby professionale, sono destinati a restare nel migliore dei casi sul piano filosofico. Ma la filosofia, come ha magistralmente dimostrato Foucault nella Cura di sé (1984), è ab antiquo compromessa con la medicina. Non sono un professore di filosofia, ma nessuno storico mi può definitivamente contestare l'ideuzza che sostengo in questo sito: non ci sarebbe stato Aristotele senza Ippocrate. Forse neppure Freud.

Non resta che rimboccarsi le maniche e lavorare alla demedicalizzazione del freudismo, magari andando contro Freud stesso (ma restando freudiani!), sapendo bene di aver imboccato una strada impopolare e irta di difficoltà concettuali e pratiche. Personalmente batto questa strada dal 1997, come testimonia la mia conferenza

Guarigione senza terapia.

Ho continuato in questa direzione con i miei riferimenti all'intuizionismo, inteso come logica epistemica o temporale, di cui questo sito è ricco. Per non parlare dell'indebolimento eziologico. Rimango in attesa degli echi di un lavoro senza fini di lucro e solitario, per istituire una pratica di cura del soggetto, che non abbia nulla di magico, tanto meno di medico.

Per la verità qualche eco l'ho registrata, come questa

Lettera di Giovanni Sias agli psicanalisti italiani.

Giovanni Sias ha una concezione della psicanalisi molto diversa dalla mia. Lui la intende come pratica retorica, io come pratica scientifica. Tuttavia, entrambi NON la intendiamo come pratica professionale, regolamentata da una deontologia, in particolare la deontologia psicoterapeutica.

A Giovanni e ad altri che intendono la psicanalisi come pratica estetica o sapienziale non posso esimermi dal porre una questione, che loro riterranno impropria, ma che io considero suggestiva.

Se la psicanalisi fosse solo una pratica estetica, come la poesia per esempio, perché non è stata inventata prima, in età classica? Si è da sempre fatta della poesia, da quando è stata inventata la scrittura, ma della psicanalisi si è fatta solo dopo Freud. Perché la psicanalisi ha dovuto aspettare l'epoca scientifica e la manipolazione di un medico fallito, che credeva di inventare una "nuova scienza", mentre ha escogitato solo una variante della vecchia psicoterapia ippocratica, per venire alla luce?

Di più.

Se la psicanalisi fosse solo una pratica retorica, come la ricostruzione storica alla Erodoto o alla Tacito, come ha fatto Freud a escogitare ante litteram quel teorema di incompletezza del sapere inconscio, che va sotto il nome di "rimozione originaria" (Urverdrängung), quando il primo vero teorema di incompletezza del sapere moderno deve aspettare il 1931 e il genio di Gödel per venire alla luce?

La storia non si fa né con i se né con i ma, ma...

Nel frattempo, ritornando alla politica, pubblico l'intervista concessa ad Alessandra Guerra sei mesi fa

Quale politica per gli psicanalisti?

Giovanni Sias ha avuto la cortesia di rispondere alla questione da me sollevata. Inserisco la risposta di seguito, aggiungendo che la trovo un po' deludente, in quanto convoca la mitologia del Secondo Rinascimento. Considero la mitologia un discorso emotivo di scarso valore argomentativo.

Giovanni Sias risponde ad Antonello Sciacchitano.

 

hiama Freud in Analisi finita e infinita – della mitologia, che fonda la convivenza civile. Non ci sono molte speranze di salvare la psicanalisi dal mitologico della psicoterapia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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